Il cantante soul Charles Bradley è morto il 23 settembre scorso per una grave malattia che lo aveva colpito da un anno. Considerato l’erede del re del soul James Brown, Bradley arrivò al successo in tarda età dopo una vita difficile e travagliata, contrassegnata da vari problemi di salute.
Nato in Florida nel 1948, fin da giovanissimo Charles Bradley nutrì una gran passione per la musica soul ed in particolare per il suo re incontrastato: James Brown. L’ispirazione la ebbe nei primi anni sessanta quando Bradley andò a vedere un suo concerto nel mitico Apollo Theatre cercando di incontrarlo successivamente nel camerino desideroso di raccontargli quanto lui fosse musicalmente importante. Pur non riuscendo nell’impresa, da questo momento Bradley iniziò ad esibirsi cercando di imitare il re del soul con lo pseudonimo di “Black Velvet”. Le cose però non andarono secondo le aspettative e Bradley fu costretto ad abbandonare i suoi sogni di gloria arrivando a vivere per strada come un “senza tetto”. Riuscì comunque a sopravvivere iniziando a lavorare come cuoco in una mensa di un centro di accoglienza per poveri.
Inaspettatamente, nella più consolidata tradizione del “sogno americano”, la svolta avvenne nei primi anni Duemila grazie all’incontro con il boss della “Daptone Records” Ton TNT Brenneck al quale Bradley consegnò un provino che portò alcuni anni dopo all’uscita del suo primo disco “No time for dreaming” (2011), che fu un successo. Da questo momento il cantante divenne per tutti “l’aquila urlante” e la sua produzione discografica fu rapidamente incrementata con due nuovi album: “Victim of love” (2013) e “Changes” (2016). Poi la malattia, un cancro allo stomaco, ne ha interrotto l’ascesa portandolo purtroppo ad una prematura morte. Una esistenza degna della migliore sceneggiatura di un film, fatta di delusioni, stenti e sogni poi realizzati. Una esistenza vissuta intensamente e raccontata nel 2012 in “Soul of America”, il documentario della sua vita.