Il 4 maggio 1949 moriva il Grande Torino. L’aereo che li riportava a casa trovò una fitta nebbia che avvolgeva Torino schiantandosi contro la collina di Superga. Così avvenne la più grande tragedia sportiva del nostro Paese che privò il mondo intero di una squadra formidabile che da quel momento divenne leggenda.
Nessuna squadra ebbe mai un tale impatto sul calcio come il Grande Torino di Ferruccio Novo, il presidente che la costruì e che sopravvisse ad essa. Non era partito infatti con i “suoi” ragazzi per Lisbona, dove i granata affrontarono il Benfica in quella che purtroppo sarebbe diventata la loro ultima partita.
Il Grande Torino non fece soltanto innamorare i propri tifosi, ma tutti coloro che amavano il calcio. Dal 1939, anno in cui divenne presidente Ferruccio Novo, al 1946 vinse cinque scudetti ed una coppa Italia. Dall’acquisto di Franco Ossola e poi di Romeo Menti, Alfredo Bodoira, Felice Borel e Guglielmo Gabetto (anche Silvio Piola giocò con i granata seppure per una sola stagione, 1943-44), venne assemblata una squadra che con i successivi arrivi di Valentino Mazzola ed Ezio Loik e, nel 1945, del portiere Valerio Bacigalupo, di Aldo Ballarin, di Virgilio Maroso e di Eusebio Castigliano divenne una macchina perfetta. La loro superiorità era tale che sovente gli bastava un solo quarto d’ora per vincere le partite, il famoso “quarto d’ora granata”.
Il Grande Torino giocava nel famoso stadio Filadelfia, un impianto di circa 30.000 posti a sedere.
La storia di quei fantastici ragazzi che dominarono il calcio italiano si intreccia inevitabilmente con quella di un Paese che si risollevava dopo le macerie della guerra. La tragedia di Superga “distrugge i sogni di migliaia di ragazzini e apre le porte della leggenda ai 17 giocatori, periti con tre allenatori, tre dirigenti, tre giornalisti e quattro uomini dell’equipaggio”.
Ogni anno, il 4 maggio, Superga diviene un luogo di culto dove i tifosi rendono omaggio a quella invincibile squadra con la Santa Messa nella Basilica e la “preghiera laica” con lo scandire dei cognomi delle vittime della tragedia. Non purtroppo negli ultimi due dove la pandemia ha impedito ogni manifestazione pubblica. Resta comunque l’affetto immutato di ognuno di noi che, a prescindere dal tifo e dalla passione per il calcio, continua a ricordare con commozione una squadra che fu l’orgoglio di un Paese intero.
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